Dalla firma allo stop: 8 anni di Tor di Valle

È un po' come se, il giorno prima delle nozze, lo sposo guardi meglio la propria fidanzata e le faccia capire che, a pensarci bene, non è che sia proprio un grande amore. Questo è lo stato del rapporto che c'è fra la Roma e il progetto per il nuovo stadio che dovrebbe sorgere a Tor di Valle. Oggi saranno passati ben 8 anni da quel 30 dicembre 2012, quando, in Florida, davanti ai giornalisti schierati l'ex presidente Pallotta e il costruttore Parnasi
concludevano un accordo che faceva ipotizzare l'apertura del nuovo impianto nel 2016.

Morale: da quel giorno sono passati tre sindaci (Alemanno, Marino e Raggi) e, nonostante il progetto sia stato rivisto (con meno cubature, ma anche con meno opere pubbliche a carico dei proponenti), il traguardo parrebbe a un passo, visto che il Pubblico Interesse era stato incassato nel 2015 e il sì da parte della Conferenza dei Servizi nel 2017. Non basta, anche la Convenzione Urbanistica è di fatto conclusa, eppure l'ok finale del Comune sembra una chimera. Motivo? Almeno un paio. Il progetto non è mai stato digerito da una parte della maggioranza del Movimento 5 Stelle che governa Roma. Inoltre, nel mondo post-Covid, la famiglia Friedkin ritiene superfluo quel «business park» per uffici che correrebbero il rischio di restare vuoti, costringendola però a investire da subito circa 300 milioni per oneri di urbanizzazione, sui 900 complessivi. Se si aggiunge che sull'area pesano pignoramenti e ipoteche e Parnasi (indagato) sia uscito di scena, si capisce come il nuovo presidente non ami il progetto ereditato.

LE ALTERNATIVE

La Raggi, in campagna elettorale, ha provato a cavalcarlo ancora in due modi: prima assicurando un sì in tempi rapidi, poi aprendo alla possibilità di uno spostamento. Ma dove? Se l'ipotesi sulla carta più praticabile è quella di una conferma dell'area, ma con una riduzione della capienza (da 55.000 a 40.000 posti) e del «business park», il fascino di avere in concessione dal Comune per 99 anni l'area del Flaminio è quella che stuzzica di più, tanto che è stato contattato Renzo Piano allo scopo. Il no dell'architetto non ha sgonfiato il sogno (ieri sponsorizzato anche dal candidato sindaco Carlo Calenda), anche se i problemi pratici sarebbero tanti, sopratutto sul fronte dell'ordine pubblico. In alternativa, da tempo il comune di Fiumicino offre corsie preferenziali per averlo, mentre resta in piedi l'ipotesi Tor Vergata, ma che comunque avrebbe nodi burocratici da sciogliere. Ne consegue che il nuovo dirigente Stefano Scalera, da gennaio farà una ricognizione generale. In ogni caso, anche se si andasse avanti con un Tor di Valle «dimagrito», la prima pietra non sarà mai messa prima del 2022, ipotizzando così l'apertura a non prima del 2025. Comunque vada, l'Olimpico resterà ancora per un bel po' casa Roma.

(Di La Gazzetta dello Sport)